se c'è
qualcuno che, vista la mia
assenza nell'aggiornare il blog, ha
sperato in una mia volontà di
abbandonare questo spazio
pubblico, dovrà ricredersi, principalmente per due
motivi.
innanzitutto per il post che sta
leggendo, il quale credo sia una
dimostrazione tangibile che, seppur con notevoli
ritardi, non ho scordato l'
esistenza di questo luogo; secondariamente per la costante
intenzione, che ha attraversato tutti questi
giorni, di rendere nota la mia
presenza con un intervento magari più
costruttivo rispetto all'ultima breve
analisi sul problema dei
carrelli del supermercato.
nelle scorse giornate, infatti, sono più volte arrivato al punto di
scrivere il titolo e qualche riga di un nuovo articolo, salvo poi
lasciar perdere il tutto per evidenti carenze di
ispirazione o interruzioni per forze di causa maggiore.
il
titolo di quest'oggi può apparire un po'
strano, ma è il primo a cui ho pensato per definire un
insieme, piuttosto
eterogeneo, di fatti che si sono susseguiti dall'ultima volta che ho fatto
capolino qui.
senza voler apparire come un seguace della scuola di studio aperto, non partirò con la notizia più
seria.
sono iniziati i
mondiali di calcio:
euforia, colori ed inevitabili piogge di
critiche sulla nazionale italiana.
vuoi per le vicende riguardanti le trame di illegittima concordia tra i
poteri forti del campionato, vuoi per il proverbiale alone di
antipatia che la squadra di lippi si porta dietro con sè assieme alla
pasta e alle playstation, vuoi che, mai come in questa edizione, la lunga durata della nostra presenza in
germania va contro ogni più roseo
pronostico, tanto che i
giornalisti chiedono tranquillamente ai giocatori e all'allenatore chi alzerà la coppa senza aspettarsi una risposta
scaramantica, ma il gran
vociare, in gran parte degli organi di
stampa, che si è creato attorno al
gruppo azzurro, è stato abbastanza
fastidioso.
non
nego che la situazione calcistica italiana sia ad un passo dal
crollo definitivo, ma per un mese ogni quattro anni nasce il legittimo
sentimento di tralasciare ogni
discussione e protesta e di spalancare gli occhi di fronte a
dribbling, contropiedi,
rovesciate e pallonetti, a quello che è solo un'avvincente ed
appassionante attività sportiva.
non è
facile sapendo che, parallelamente, negli uffici giudiziari si parla di
coinvolgimenti che entrano prepotentemente tra i
convocati in trasferta tedesca, però rimuovere l'
attenzione da questo e focalizzarla unicamente sul rettangolo erboso è una
volontà diffusa.
il
rischio c'è ed è rappresentato dal fatto che eventuali buone
prestazioni della nazionale possano
sminuire, anche a mondiale concluso, l'indubbio
valore che le
inchieste hanno acquisito.
io non vedo le due cose necessariamente
collegate, ma è un'ipotesi da non scartare e decisamente
preoccupante.
come se non bastasse, la
televisione pubblica, peggio nota come
rai, ha deciso di investire in maniera mirata i soldi che, annualmente, riceve dal canone versato dai
contribuenti e, costantemente, dalle entrate nella casella
sponsor.
grazie a costose
produzioni e format sempre più danarosi, le casse della tv di stato sono arrivate un po' a secco al momento di farsi avanti per un prodotto di sicuro
successo come i campionati del mondo.
è così la fase a
gironi, che prevede una media di tre partite al giorno, viene drasticamente
selezionata e la trasmissione è riservata ad un solo
incontro.
apparentemente nulla di male, dopotutto siamo
bombardati dal calcio ogni giorno dell'anno.
personalmente, però, trovo che i campionati del mondo di calcio siano un'occasione
unica per chi ama questo
sport o anche per chi è solo curioso di vedere
partite dall'elevato tasso tecnico.
io stesso non seguo
sfegatatamente ogni incontro caratterizzato da ventidue uomini che scalpitano, ma durante i mondiali si respira un'aria
differente, fatta di bonario
nazionalismo e circondata da una
passione fugace, forse
cieca e un po' beota, ma carica di
positività.
per tornare a
rabbuiarsi c'è ancora tempo.
un
argomento ben più delicato e
complesso è, invece, quello che riguarda la questione
irachena.
in quella che fu la florida
mesopotamia ora regna una
confusione tale da colpire anche alcune espressioni
linguistiche, che assumono un tono non così lontano dall'essere
grottesco.
giusto per citare qualche
esempio, abbiamo avuto a che fare con
bombe dotate di
intelligenza, soldati esportatori di
democrazia e carri armati impiegati in missioni
pacifiche.
tutti questi
ossimori bellici hanno probabilmente una funzione di
alleggerimento morale, quasi a voler trovare dei
pretesti buonisti per giustificare una così massiccia presenza
militare in quei territori.
l'
effetto è evidentemente
scarso e le cronache quotidiane sono sufficienti a dimostrare che in iraq il raggiungimento dell'
ordine è ben distante dall'essere compiuto:
attentati, rapimenti,
rappresaglie sono solo alcune delle pennellate che compongono un
quadro, seppur subdolamente
atipico, di
guerra.
il
ruolo del contingente
italiano è oltremodo
complicato, sia perchè l'
intervento delle forze armate non è mai stato
appoggiato all'unanimità, che per il fatto che il
pericolo, da variabile controllata, si sta sempre di puù trasformando in una feroce
costante, che riesce a sopravvivere grazie al
caos là regnante.
ora si parla concretamente di
ritiro: graduale, da compiere nei più volte citati tempi tecnici, ma apparentemente
improrogabile.
si tratta di un giusto
ripiegamento, non di una
fuga: i ragazzi che operano nelle
missioni italiane all'estero sono forse
valorosi, sicuramente
ambiziosi, ma non
eroi e morire violentemente non è una scusa per
fregiarli di questo titolo, ma una dolorosa
conseguenza del loro difficile e
coraggioso lavoro.
sempre dal
fronte iracheno c'è da segnalare l'uccisione di al
zarqawi, la quale ha creato un inspiegabile
sollievo; il suo
ruolo era sicuramente
rilevante, ma ormai la sua figura era diventata
equivalente ad un
simbolo, con il quale rivendicare azioni
terroristiche e tramite il quale diffondere i noti
messaggi anti-occidentali.
oltretutto il modo in cui è stato ammazzato riflette le
ambiguità di questa guerra: le forze
statunitensi erano a conoscenza dell'esatta
posizione di zarqawi, ma invece di studiare un piano d'
attacco a terra e concludere il
blitz con un arresto, hanno preferito colpire, con un
raid aereo, l'intera
abitazione sotto la quale, oltre al vero obiettivo dell'
operazione militare, risiedevano altre
persone a lui vicine tra cui, pare, anche un
bambino, caduto come gli altri sotto i
colpi americani.
quasi a sbeffeggiare tanta
aggressione, al zarqawi non è morto subito, ma ha addirittura tentato di
reagire e di pronunciare qualche
parola prima di perire e di essere
immortalato in un'eloquente
scatto fotografico.
tornando su qualcosa di più
disteso, rendo noto che
mila sta rapidamente
crescendo ed è ormai un'inquilina
ordinata e piena di
simpatia.