indulto insulto.
gioco di parole forzatamente attuale e su cui farci almeno un pensierino.
è stato approvato, tra soffocate polemiche che forse avrebbero meritato più attenzione, il provvedimento che ridurrà di tre anni la permanenza dietro le sbarre di circa 12mila detenuti.
anche se con ovvie restrizioni, questa manovra porterà comunque ad un sostanziale sfoltimento delle carceri italiane, spesso al centro di discussioni riguardo al loro sovraffollamento.
pare sia proprio quest'ultima la motivazione principale che ha spinto il parlamento a votare a favore di questa legge e, contemporaneamente, a farmi riflettere.
trovo, infatti, che questo atto giuridico pecchi in completezza, sia riguardo ai pretesti con i quali è stato scritto, che alla luce delle conseguenze a cui porterà.
il sistema penale e giudiziario del nostro paese necessita di una riforma strutturale che punti, soprattutto, a snellire i procedimenti burocratici, ad abbreviare l'iter dei processi e a rivedere le condanne, con gli sconti e i privilegi ad esse associate.
il problema delle carceri affollate è una questione accessoria e consequenziale, ha bisogno di una soluzione temporanea e non trova, nell'indulto, il suo appianamento.
sarebbe più logico, ad esempio, sistemare i condannati in nuovi alloggi penitenziari, già presenti sul territorio italiano, ma chiusi o in attesa di chissà quale remota autorizzazione.
a posteriori, inoltre, l'indulto abbrevierà le pene anche a crimini oggettivamente gravi, come omicidi volontari plurimi, e non prevede sostanziali attività di recupero, fondamentali in molti casi di passaggi dal carcere alla vita comune.
alla luce di queste incongruenze sono state però poche le voci fuori dal coro, e così camera e senato hanno dato il loro assenso, lasciando nelle mani del capo dello stato la naturale firma del documento.
ancora non mi è molto chiaro se tutto questo è stato un lodevole gesto di clemenza o un'astuta mossa di convenienza.
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